Chi conosce la realtà dei territori sa bene quanto le politiche di coesione europee abbiano rappresentato, negli anni, una leva decisiva per la crescita del Mezzogiorno e per la sopravvivenza amministrativa di tanti enti locali. Oggi, con l’annunciata riforma della Commissione europea, tutto questo rischia di saltare e si delinea uno scenario gravissimo per il Sud Italia e per gli enti locali. Infatti, l’ipotesi di un fondo unico che inglobi i principali strumenti di finanziamento rappresenta una scelta che impoverisce le comunità, tagliando fuori le Regioni.
di Roberto Gravina
Dietro alla retorica della razionalizzazione si nasconde un’operazione pericolosa: l’azzeramento della politica di coesione. I fondi destinati alle Regioni, con i quali gli enti locali hanno potuto attivare interventi concreti su infrastrutture, ambiente, inclusione sociale e sviluppo territoriale, rischiano di essere ridotti. Il tutto per far spazio a un’impostazione che dirotta risorse fondamentali per finanziare il riarmo. Siamo di fronte a una scelta che segna uno spartiacque: si privilegia una logica militare rispetto alla giustizia sociale e territoriale.
Un segnale pericoloso
Non è quindi solo una questione di cifre, ma di visione politica. Cancellare i fondi strutturali come li abbiamo conosciuti (Por, Pac, Fesr, Fse), per concentrare le risorse a livello centrale e spostarne una quota significativa su priorità militari, è un segnale pericoloso. È il ritorno a un’Europa distante, che preferisce i palazzi ai territori, la geopolitica alle periferie sociali. Il Sud non è una zavorra: è una promessa da mantenere, con i fatti e non solo con gli slogan.
Il Movimento 5 Stelle, grazie al lavoro incisivo dei suoi europarlamentari, sta opponendo una resistenza netta a questo disegno: Palmisano, Tridico, Pedullà e gli altri nostri rappresentanti a Bruxelles stanno portando avanti una battaglia coraggiosa. Non si tratta solo di dire no a un provvedimento, ma di difendere un’idea di Europa fondata sull’equità, sulla solidarietà e sulla prossimità amministrativa. È grazie a queste voci che la verità sta emergendo: dietro la riforma proposta non c’è efficienza, ma un ridisegno punitivo della geografia degli investimenti.
Il rischio è duplice
Da un lato, si riducono le risorse disponibili per aree già svantaggiate; dall’altro, si svuota progressivamente il ruolo degli enti locali, costretti ad assistere da spettatori a decisioni prese altrove.
Gli enti locali verranno privati non solo di risorse, ma anche di strumenti di programmazione e di intervento diretto. Questo significa indebolire ulteriormente la capacità di risposta delle amministrazioni alle esigenze dei cittadini, soprattutto in quelle realtà dove la marginalità geografica si intreccia con la debolezza economica. Ciò avviene, paradossalmente, nel momento in cui l’Europa, invece, dovrebbe rafforzare la prossimità e il legame tra istituzioni e comunità.
Se l’Unione Europea vuole sopravvivere come progetto politico condiviso, deve ascoltare i territori, non sacrificarli. L’Europa o torna a essere uno spazio di solidarietà e coesione, o smette di essere riconoscibile agli occhi dei cittadini.