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La fortuna della politica è la memoria corta degli italiani

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La politica, in Italia, non smette mai di sorprendere in negativo. Siamo ormai abituati a vedere teatrini degni delle più esilaranti commedie di cabaret, alimentati dai grandi gruppi editoriali, che troppo spesso abbandonano il ruolo ‘sacro’ di informatori super partes per prestarsi alla ‘profana’ tifoseria di questo o quel partito. Se da una parte quindi vanno in scena tristi spettacoli con protagonisti Calenda, Letta, Salvini, Renzi, Meloni, Berlusconi, dall’altra i risultati parlano chiaro: Giuseppe Conte, con umiltà e coraggio, ha traghettato il paese fuori dalla tempesta della pandemia, e ha portato in Italia 209 miliardi del Pnrr. Ma la memoria degli italiani è corta.

di Angelo Primiani

Accadde sistematicamente: pensiamo al recente passato, con i giornali di Confindustria all’epoca del Governo Renzi, quando si provò a lanciare Calenda come uomo della provvidenza dalle spiccate capacità e competenze manageriali. Il risultato fu la svendita di una delle principali acciaierie europee al gruppo franco-indiano della Arcelor Mittal.

Le cronache (e i retroscena) narrano che l’allora ministro dello Sviluppo economico aveva chiuso l’accordo per la cessione degli asset con il gruppo Marcegaglia. Salvo annunciare la vendita ai competitor la mattina seguente. I risultati di quella operazione sono sotto gli occhi di tutti e ancora oggi i tarantini ne pagano le conseguenze, soprattutto dal punto di vista dei mancati investimenti in tecnologia “green”.

La politica segue logiche diverse dalla finanza

Ma di personaggi sostenuti dai media, che poi si sono dimostrati l’opposto di come venivano celebrati, la storia è piena. Mario Draghi ad esempio. Dopo l’ottima gestione alla Banca centrale europea, ci è stato proposto anche come un grande politico. Ma la politica segue logiche diverse dalla finanza, o almeno dovrebbe. In politica, prima ancora delle competenze in campo economico, sono necessarie capacità negoziali. Ricordiamo tutti il discorso di Mario Draghi al Senato quando, in nome della completa autonomia rispetto alla sua stessa maggioranza, accelerò la fine del suo governo. Un governo che, al di là delle roboanti narrazioni, non entrerà certo nella storia per risultati epocali.

Campo progressista distrutto in meno di 20 giorno

Ma arriviamo al ‘figliol prodigo’, Enrico Letta. Una persona competente, preparata, che il Pd ha dovuto richiamare dalla Francia per assegnargli la guida del partito. Probabilmente, in futuro, sarà ricordato per il passaggio della campanella con Renzi e per le trattative tafazziane di questi giorni. Come gli altri, Letta veniva dipinto dai grandi giornali come uno “stratega” dalle innate capacità di governo. All’atto pratico, è stato capace, nel giro di 20 giorni, di distruggere l’intero campo progressista, da Roma a Campobasso. In Molise, nonostante la pessima salute di cui godeva e gode il centrodestra, il costituente campo progressista è stato diviso con decisioni prese dall’alto.
Lo zio Gianni, dall’altro lato di Largo del Nazareno, sentitamente ringrazia.

Nel mezzo, Giuseppe Conte: umiltà e coraggio hanno prodotto risultati storici per l’Italia

In questa narrazione con punte di “fantasy”, imposta dai grandi gruppi editoriali italiani, spesso i più audaci sono proprio quelli che tutti danno per perdenti. Ma mi chiedo: col senno di poi, cosa scriveranno i libri di storia del professore di diritto civile, Giuseppe Conte? Una persona normale che, in virtù di un sistema elettorale e costituzionale becero (che tutti criticano ma nessuno cambia), si è ritrovato catapultato nell’agone politico.
Era quello che, durante la prima esperienza di governo, nel 2018, i giornali dipingevano come succube delle volontà dei due vice premier, Di Maio e Salvini.

È lo stesso che, all’indomani del “Papeete”, ha sotterrato politicamente il ben più navigato Salvini, che rimase seduto in Parlamento, muto e imbarazzato. Ma Conte è anche quel professore umile, che appariva stanco e provato tutte le sere in Tv, nel tentativo di spiegare agli italiani le scelte adottate per fronteggiare la pandemia. Quelle stesse scelte che poi hanno fatto scuola ad altri Paesi, ma che oggi nessuno ricorda più. O, semplicemente, fa comodo non ricordare.

Il coraggio di fare anche scelte impopolari ha restituito all’Italia una dignità e una credibilità che sembrava aver perso. Umiltà e abnegazione da noi spesso non pagano, ma in Europa ci hanno permesso di recuperare 209 miliardi, che altri poi hanno avuto l’onere e l’onore di gestire.

Ma che fine hanno fatto le promesse di Draghi?

Ricordate le promesse del magnifico Draghi? La riforma della giustizia, per avere tempi dei processi più brevi. La riforma della pubblica amministrazione, per un sistema più efficiente. La riforma del fisco, nell’ottica di una tassazione più equa. Tutte promesse che il Governo dei migliori, nonostante una larghissima maggioranza, non è riuscito a mantenere.

La mia sarà anche una ricostruzione di parte, ma una cosa è certa e bipartisan: la politica sopravvive anche grazie alla memoria corta degli italiani. Ad ogni elezione votiamo “a sentimento” e in base alla narrazione del momento. Spesso distorta, come nel video in cui Berlusconi rivendica i soldi del Pnrr, che avrebbe “ottenuto” in Europa.

Solo la memoria corta potrebbe digerire la Meloni premier, colei che fino a qualche mese fa caldeggiava i no mask, i no vax, i no green pass. Una leader, sedicente liberale, che ha sempre frequentato e pescato voti tra le frange di estrema destra e tra chi si dichiara, orgogliosamente (o impunemente) fascista.

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